Storia e Fisica dell’Arco

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L’arco è una delle invenzioni più affascinanti e antiche della storia umana, in grado di combinare abilità ingegneristica e una profonda conoscenza istintiva della fisica, anche se non formalmente concepita.
Quali falsi miti circondano questo strumento? Andiamo a scoprirlo assieme!

Un po’ di storia

L’arco è una delle armi più antiche conosciute dall’umanità, con prime testimonianze archeologiche nelle regioni europee che risalgono a circa 10.000-8.000 a.C. Durante il Mesolitico e il Neolitico, l’arco veniva principalmente utilizzato per la caccia, essendo una soluzione efficiente per ingaggiare animali o nemici da una distanza che non prevedeva il contatto fisico. Le frecce erano approssimative e gli archi stessi rudimentali, ma già rappresentavano un netto passo avanti rispetto alle armi da lancio come lance, atlatl e fionde.

Nel contesto europeo antico, grandi civiltà come quella greca e romana utilizzavano l’arco principalmente come strumento da caccia, ma anche nel campo militare, sebbene il suo ruolo fosse secondario rispetto ala fanteria. Ad esempio, l’esercito romano integrava arcieri (“sagittarii”) come truppe ausiliarie, spesso reclutando specialisti da regioni come la Tracia e la Siria. 

La situazione europea non subì particolari rivoluzioni per secoli fino alla comparsa, nelle isole britanniche, dei famosi Longbow, archi inglesi (o forse dovremmo dire Gallesi) con libbraggi che potevano arrivare, stando alle stime ottenute dagli esemplari ritrovati sulla nave Mary Rose, fino a 160-180 libbre. L’enorme forza necessaria per tendere questi archi è evidenziata tanto dalla necessità di allenamento continuo, tanto dalle (lievi) deformazioni scheletriche che si possono rinvenire tutt’oggi nei resti di tali arcieri.
Non è un caso che, in patria, l’arco lungo fosse spesso associato a una specifica classe sociale, gli Yeomen, ovvero i piccoli contadini liberi in grado di possedere ed allenarsi con un’arma di tale calibro, cosa che alcune leggi del medioevo imponevano di fare con una certa costanza, nonché di presentarsi in guerra con arco e un certo numero di frecce.

Mary RoseI resti della Mary Rose a Porthsmouth

L’arco continuò ad essere presente durante tutto il medioevo europeo, durante il quale, nelle isole britanniche, apparve il cosiddetto Longbow. Questo arco lungo, che poteva superare un’altezza di 180 centimetri richiedeva anni di pratica per essere padroneggiato ma garantiva un’immensa potenza di tiro e una portata eccezionale, paragonabile e superiore a quello composito. La pratica regolare del tiro con l’arco era richiesta dalla legge in Inghilterra, soprattutto a partire dalla fine del XIII secolo, per garantire che ampie riserve di arcieri fossero pronte in caso di guerra.

Nonostante i suoi pregi, l’arco lungo e altre varianti medievali avevano delle limitazioni.
Richiedevano molta forza fisica e anni di allenamento; inoltre, non erano particolarmente efficaci contro le pesanti armature a piastre, sempre più diffuse a partire dal Trecento.
Con l’avvento delle armi da fuoco nel XIV e XV secolo, sia l’arco sia la balestra (della quale parleremo in un prossimo articolo) cominciano il lento declino come strumenti di guerra, seppur siano in grado di sopravvivere ancora a lungo accanto alle bocche da fuoco…

Costruire un arco

Costruire un arco e delle frecce di fortuna è sicuramente un’impresa possibile, ma tutt’altro che banale e che richiede buoni doti tecniche e manuali.

Fornisce risultati interessanti ma comunque ben lontani da una fabbricazione artigianale di una certa qualità, come è possibile vedere dai seguenti video di Primitive Technology.

Un simile arco ha una portata ridotta e, sebbene possa essere usato come rudimentale strumento di caccia e di guerra, richiede perizia e fortuna per mettere a segno un colpo letale.

La fabbricazione di un arco tradizionale, ottenuto da un unico pezzo di legno, necessita invece di un lavoro estremamente più complesso e ricercato: la scelta di un legno ottimale, come quello di olmo o di tasso, che abbia le caratteristiche di resistenza e flessibilità ideali per il tipo di arco prodotto; un periodo di essiccazione del legno stesso, che può durare diversi mesi.

medieval bowmaker | Hans Splinter | Flickr

In caso di archi compositi, poi, la presenza di altri materiali, come l’osso e il cuoio, ma soprattutto delle colle può ulteriormente complicare il processo.
Le corde, le piume e le punte delle frecce, poi, non possono essere ottenute semplicemente dagli alberi.
Le frecce, inoltre, richiedono legni diritti e regolari, privi di nodi e spaccature, del diametro e rigidità  giuste, altrimenti il loro volo sarà imprevedibile.

Trasportare un arco

Tanto il cinema quanto i videogiochi ci hanno insegnato che è possibile portare un arco “a tracolla”, con la corda a contatto con il petto, e altrettanto classica è la posizione a spalla della faretra.

Legolas | J.R.R.Tolkien

Nel mondo reale, un arco è di solito riposto “smontato”, ovvero togliendo la corda. In questa condizione, l’asta dell’arco è più lunga e diritta e tale condizione deve essere mantenuta.
Questo perché il legno dell’arco, se tenuto incordato, finisce per prendere la piega che la corda gli impone e si riduce drasticamente la forza che esso è in grado di sprigionare.
Per questo motivo, quando non è in uso, l’arco deve essere trasportato senza la corda.

Questo ovviamente rappresenta anche una fonte di pericolo, in quanto rimettere la corda all’arco richiede il tempo necessario a incurvarlo, di solito con l’ausilio delle gambe, e di riannodare (nodo dell’arciere) o reinserire l’asola all’’estremità libera dell’asta.
In caso di agguato da parte di un nemico o di un animale pericoloso un arciere preso di sorpresa, dunque, difficilmente avrà il tempo di preparare un arco smontato.

Come prendersi cura dell'arco storico - arceriastorica
medieval quiver | Tumblr | Læder

Caratteristiche dell’arco

Gli archi non sono tutti uguali: anche tra archi dello stesso tipo differenze nella lavorazione, nel materiale e nelle dimensioni producono risultati molto differenti.

Ogni arciere impugna un arco con un determinato allungo, la distanza tra le mani dell’arciere quando è al massimo dell’apertura delle proprie braccia: si avrà uno scarso allungo (ovvero poca trazione, quindi poco caricamento dell’arco che si traduce in poca spinta impressa alla freccia) quando l’arco sarà impugnato da un arciere di piccola statura, viceversa quando l’arco sarà impugnato da un arciere di statura elevata.
L’allungo può essere pensato come la somma di due lunghezze: il Brace che è la distanza tra l’impugnatura dell’arco e la corda a riposo (questa è una caratteristica dell’arco incordato) ed il Power Stroke, la rimanente porzione tra la corda a riposo e quella tesa, dove si trova la mano che la tende.
Come riferimento, un arciere alto attorno a 1,75 m potrebbe avere un allungo fino a 28 pollici (poco più di 71 cm), in cui ovviamente il brace dipenderà dall’arco (attorno agli 8-10’’ per gli archi storici) ed il Power Stroke sarà la differenza

Per ciascun valore di allungo, l’arco risponde alla tensione con una determinata forza detta libbraggio: per gli archi da caccia si parla di forze attorno alle 40 libbre, circa 18 kg (l’equivalente del peso di 2 due confezioni da sei bottiglie d’acqua da un litro e mezzo), trattenute dalle sole dita della mano che sta tirando la corda dell’arco. Sembra poco detta così, ma per dare un riferimento una spada a una mano pesa attorno a un chilogrammo: inoltre, per questi 18 kg non si possono usare molti dei muscoli che useremmo normalmente per sollevare un peso, come quelli delle gambe. Tutta la forza è invece impressa unicamente dai muscoli delle braccia, delle spalle e del torso.

In generale, e sempre a parità di allungo, un arco poco potente tenderà a scagliare frecce più lente, mentre uno con libbraggi più elevati sarà in grado di lanciare proiettili più pesanti e scaraventarli più lontano.

Si evince dunque che, mentre una persona fisicamente poco prestante possa tranquillamente usare archi dal libbraggio leggero, l’aumentare della potenza dell’arco, fino alle oltre 100 libbre per un arco da guerra, richieda una forza importante.
Il cinema, soprattutto quello fantastico, pecca spesso nell’associare spesso le figure più gracili ed esili all’uso dell’arco: lo vediamo in vari personaggi elfici del signore degli anelli così come in molte figure femminili, per esempio Ginevra del film King Arthur.

King Arthur | Terre di Confine Magazine

Beh, però essendo Keira Knightly, per stavolta chiudiamo un occhio…

BONUS: la fisica dell’arco

Quando si tende un arco, si compie un lavoro che immagazzina energia elastica potenziale nei flettenti, ossia le due braccia dell’arco. La forza applicata dall’arciere piega il materiale flessibile dei flettenti, che raggiunge il massimo accumulo energetico al momento di massima tensione della corda, poco prima del rilascio.

Se la relazione tra l’allungamento dell’arco e la forza espressa seguisse in maniera semplice un comportamento tipico delle molle, descritto dalla legge di Hooke, la forza avrebbe una relazione lineare con il power stroke e l’energia immagazzinata andrebbe come il suo quadrato: nello specifico

F = k x

E = ½  k x²  

dove x è il power stroke e k un valore proprio dell’arma dato dalle caratteristiche materiali e geometriche.

Tuttavia, gli archi reali si distanziano da questa relazione (gli archi compositi più di quelli monolitici): il rapporto tra l’allungamento e la forza di un arco è detto “curva di carico” e l’area totale sotto tale curva rappresenta l’energia accumulata (come abbiamo spiegato nell’articolo sull’energia).
Inoltre, non tutta l’energia elastica potenziale viene trasformata in energia cinetica, ma solo una percentuale (normalmente attorno all’80%): la rimanente viene persa nelle vibrazioni dell’arco, nella deformazione del materiale, nel suono e perfino nell’attrito con l’aria.

E’ dunque possibile fare solo ragionamenti di massima e il rapporto tra il libbraggio dell’arco e la velocità della freccia deve essere valutato nei singoli casi: sarà solo possibile dire che, in generale, archi di libbraggio superiore a parità di allungo  tenderanno a scagliare frecce più veloci e, dunque, cariche di maggiore energia.

Una volta che la freccia è scagliata, essa seguirà un moto di un proiettile, già descritto nel suo rispettivo articolo. Tuttavia, è bene notare come l’attrito dell’aria, in questo caso, non sia affatto trascurabile: per questo motivo talvolta si sceglie di usare frecce più pesanti poiché, a parità di forza di attrito dell’aria e di resistenza dei materiali penetrati (ad esempio nel caso della caccia), la decelerazione subita è inferiore.

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BREVE OFF-TOPIC

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