Scienza&Giochi -Moti uniformemente accelerati

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Benvenuti in questa serie sulla scienza, in particolare la fisica, dietro ai giochi, siano essi di ruolo, da tavolo o videogiochi.

Il concetto di accelerazione

Nel primo articolo, che trovate qui, abbiamo discusso il concetto di moto rettilineo uniforme: tuttavia, è evidente che questo tipo di moto non rappresenta la totalità dei moti.

Se infatti un corpo è fermo (e quindi ha velocità pari a 0) e poi si muove, la sua velocità è cambiata, e lo stesso vale per un corpo in moto che si ferma o che cambia velocità!
Esattamente come la posizione può variare nel tempo, e questa variazione ci fornisce la velocità, anche la velocità stessa può variare nel tempo: il rapporto tra la differenza di velocità ed il tempo trascorso è detto accelerazione.

Così come per la velocità abbiamo usato, come unità di misura, i metri al secondo, qui useremo i metri al secondo quadrato (m/s2).

Moti Uniformemente Accelerati

Così come abbiamo dato un nome ai moti con velocità costanti, lo facciamo anche per quelli con accelerazione costante (cosa che, in generale, non è necessariamente vera): questi moti sono detti Moti Uniformemente Accelerati perché la loro accelerazione non cambia nel tempo.

In questo tipo di moto, il rapporto tra la variazione della velocità e il tempo trascorso è costante: la variazione di velocità (cioè velocità finale meno velocità iniziale) si può calcolare semplicemente moltiplicando l’accelerazione per il tempo.

Inoltre, esattamente come la velocità, anche l’accelerazione è un Vettore.

La caduta libera

L’accelerazione costante (in ottima approssimazione) più famosa è probabilmente quella di gravità sulla superficie terrestre, diretta verso il basso e di intensità pari a 9,8 m/s2: questo significa che un corpo che viene fatto cadere da fermo avrà, dopo il primo secondo di caduta, una velocità di 9,8 metri al secondo; se cade per un’altro secondo la sua velocità diventerà di 19,6 m/s, dopo un terzo secondo sarà arrivato a 29,4 m/s e così via.
Riportando queste grandezze in km/h, si vede che già dopo due secondi di caduta si raggiungono i 70 km/h: è facile immaginare come mai le cadute possano essere così pericolose!

Il moto dei corpi in caduta libera è stato uno dei primi argomenti studiati all’inizio della fisica moderna, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, quando si stavano sviluppando i primi strumenti matematici. Galileo Galilei è stato uno dei pionieri di questi studi e si è concentrato proprio sul moto in caduta libera.

Per rendere le misurazioni più facili, Galileo ebbe un’idea geniale: invece di studiare direttamente la caduta libera, usò un piano inclinato. Questo tipo di moto è simile alla caduta libera, ma avviene più lentamente, il che permette di misurarlo meglio. Nonostante la velocità più bassa, si trattava comunque di studiare come un corpo copre una certa distanza in pochi secondi, utilizzando strumenti semplici come le clessidre.

Un altro vantaggio del piano inclinato era che permetteva a Galileo di usare piccoli campanelli posti lungo il percorso della pallina che rotolava. Ogni volta che la pallina colpiva un campanello, Galileo poteva controllare il tempo con la clessidra, seguendo il suono. Questo esperimento portò a una scoperta interessante: se la pallina rotolava per il doppio del tempo, non percorreva il doppio della distanza, ma quattro volte tanto.
Questa è proprio una caratteristica dei moto uniformemente accelerati!

Danni da caduta

E se volessimo approfondire il rapporto tra la caduta e i danni veri e propri?
Andiamo a vedere assieme cosa dice il gioco di ruolo più famoso del mondo!

Un “umano comune” in D&D ha mediamente 4-6 PV in base all’edizione: scendendo a 0 PV, egli perde conoscenza e ha una certa probabilità di salvarsi o essere salvato.
Una regola alternativa della quinta edizione dice che, se i suoi PV raggiungono il massimale negativo (cioè se, a seguito di un danno, il nostro umano comune scenda a -6 PV) la morte è istantanea: ci aspettiamo dunque che una caduta che infligga circa 8-12 danni sia immediatamente letale (nell’edizione 3.5 la morte arria a -10 PV indipendentemente dalla salute massima, per un totale di 16 danni subiti).

Nelle varie edizioni di Dungeons & Dragons, una regola ricorrente è che una creatura che cade per almeno 10 piedi (poco più di 3 metri) subisca 1d6 danni contundenti (nella quarta edizione, i danni erano 1d10).

Visto che i danni medi di 1d6 sono 3.5, stiamo parlando di circa 1.2 danni per piede.
Ma questi danni sono tanti o sono pochi?

Secondo Trauma Anesthesia (C. E. Smith) il 50% di probabilità di morire si ha attorno ai 48 piedi di caduta (poco meno di 15 m), mentre da questo questo studio, che ha preso un centinaio di cadute (poche purtroppo), si evincerebbe che questo accada attorno ai 6-9 metri.


Ancora una volta il campione scelto (bisognerebbe approfondire come siano stati ottenuti questi dati) può essere importante, così come è importante ricordare che D&D è un gioco e deve, giustamente, avere regole sufficientemente snelle da non rendere impossibile giocare.

Ciò detto, per quanto la mortalità a bassa altezza nel mondo reale sia molto superiore a quanto D&D mostri, per i valori successivi il gioco mostra risultati più verosimili: la probabilità infatti di ottenere 12 o più danni con 3d6 (i danni per circa 9 metri) è del 37,5% mentre sale al 76% con 4d6 (12 metri o più), percentuali molto simili a quelle della tabella.

BONUS: Una trattazione matematica del moto uniformemente accelerato.

Procederemo in modo equivalente al moto rettilineo uniforme: in questa sezione farò riferimento a una serie di Basi Matematiche che vado a trattare nelle relative sezioni.

Abbiamo detto che la velocità, essendo la variazione della posizione rispetto alla variazione del tempo necessario per spostarsi, rappresenta proprio la derivata della posizione.

Allo stesso modo, possiamo dire che l’accelerazione sia la derivata della velocità: quindi, se l’accelerazione è la derivata della velocità, la velocità si ottiene facendo l’integrale dell’accelerazione.

Anche stavolta, sfruttiamo il fatto che la nostra grandezza di partenza, l’accelerazione, sia costante: facendo l’integrale dell’accelerazione, usando come variabile “t”, si ottiene che la velocità a un certo istante finale vf è:

vf = a t + vi

La forma è esattamente uguale a quella ottenuta per le posizioni nel caso precedente, e anche stavolta avremmo potuto ottenere la stessa forma partendo dalla definizione di accelerazione come la variazione di velocità (vf – vi) diviso il tempo t.

a = (vf – vi) / t

Qui però, le similitudini terminano: la velocità infatti non è costante, e l’espressione per la posizione finale trovata nell’articolo precedente non è più valida.
Integriamo quindi la velocità trovando la posizione finale: dall’espressione precedente 

vf = a t + vi

ottengo, usando le regole di integrazione,

xf = ½ a t2 + vi t + xi

Osserviamo che, per accelerazioni nulle, questa espressione torna a essere identica a quella trovata nel caso del moto rettilineo uniforme.
Inoltre, partendo con posizione iniziale e velocità iniziale nulla (mantenendo cioè solo il termine con t2) e prendendo due intervalli di tempo, uno doppio dell’altro, si nota, come osservò anche Galileo, che lo spazio percorso nel secondo caso è quattro volte il precedente.

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