Il mondo ludico, in questi ultimi anni, ha rivolto spesso la sua attenzione alla figura del Vichingo: dai videogiochi come Assassin’s Creed e God of War, Rune e Banner Saga, ai giochi di ruolo come Journey to Ragnarock e Sagas of the Icelanders, ai giochi da tavolo come La Festa di Odino, Raiders of the north sea e Blood Rage, senza ovviamente contare il contributo di film e serie come Vikings o The Northman.
Le leggende ci descrivono i vichinghi come un uomini avvolti dalla leggenda, alti, possenti, incredibili guerrieri e ardimentosi navigatori: ma quanto è vero? cosa sappiamo davvero di essi e quanto sono realistici i giochi a riguardo? Andiamo a scoprirlo assieme…
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Il Mestiere del Vichingo
I media moderni tendono a parlare di Vichinghi come un popolo che abitava una parte dell’europa settentrionale durante il medioevo. Ma questo è un errore profondo.
Le popolazioni che abitavano quelle zone nel medioevo si definiscono infatti di etnia Norrena, termine che viene invece comunemente usato (e correttamente) per indicare la religione tipica di questo popolo.
La parola vichingo deriva dal termine in lingua norrena víkingr che probabilmente significa “Proveniente (-ingr) dalla Baia (vik)”. Nelle famose saghe, le leggende norrene, il Vikingr è colui che partecipa al Viking, una spedizione oltremare.
Tuttavia l’etimologia non è chiara, ma le varie opzioni aiutano a delineare uno specifico concetto: possiamo avere il verbo Vik(v)a, “ritirarsi” (come in una razzia), il terminide dall’inglese antico wicing, “pirata”, a sua volta dalla parola wician, “accampamento temporaneo”.
Il Vichingo, dunque, non è banalmente l’appartenente a un determinato popolo, ma chi svolge uno specifico mestiere: quello del saccheggiatore. Le spedizione oltremare, infatti, venivano effettuate al fine di saccheggiare e, più recentemente, conquistare altre terre.
L’attività dei saccheggi, talmente importante da definire un periodo chiamato proprio Era Vichinga, inizia tradizionalmente nel 793 con il saccheggio del monastero di Lindisfarne, nell’ordierna Inghilterra, presente ad esempio nello strategico a squadre Ancestor’s Legacy.
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Si tratta di un periodo assai travagliato, nel pieno dell’alto medioevo, con una Britannia assai frammentata e, nel continente, un nascente impero Carolingio che dovrà, rapidamente, fare i conti con un territorio sterminato da gestire con risorse assai limitate.
Saranno proprio le interazioni con l’impero dei Franchi a determinare forti cambiamenti nelle abitudini della popolazione Norrena e, in ultima istanza, a determinare la fine dell’Era vichinga.
Ma andiamo con ordine…
Le armi del guerriero
Tendiamo a identificare i vichinghi come uomini enormi che indossano elmi cornuti e impugnano grosse asce bipenni. Ma è vero?
Partiamo dall’altezza: i Norreni erano mediamente un po’ più alti di altre popolazioni, come per esempio quelle originarie dell’inghilterra, ma questo dipendeva non tanto dalla genetica (che comunque giocava un ruolo) quando dall’alimentazione maggiormente proteica.
Il clima rigido della Scandinavia, infatti, rendeva l’agricoltura difficile, implicando una dieta maggiormente basata sulla caccia e la pesca: alcuni reputano che proprio la difficoltà ne portare avanti l’attività agricola possa aver dato una spinta all’attività dei Vichinghi.
Per quanto concerne invece l’equipaggiamento, molti dei luoghi comuni si rivelano essere falsi: se vogliamo avere una visione più realistica di ciò che indossava un guerriero vichingo, possiamo osservare le armate di Sturgia, una delle fazioni di Mount & Blade: Bannerlords, ispirata al mondo norreno.
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Un guerriero vichingo indossava un elmo con nasale (una striscia di metallo a proteggere il naso), spesso con una protuberanza (singola) al centro della testa, e poteva indossare varie armature in base alla sua classe sociale e alle sue possibilità economiche.
La scelta basilare andava su una protezione formata da numerosi strati di lino, cuciti uno sopra l’altro: queste coerazze, note in epoche successive come Gambesoni, potevano raggiungere anche i 30 strati nei casi migliori!
Le versioni più sottili venivano portate sotto altre armature, mentre le più spesse venivano usata in maniera indipendente: si trattava di armature molto diffuse, ottime per i climi freddi, relativamente economiche e facili da riparare (“bastava” ricucirle).
La loro capacità in battaglia era migliore di quanto si potesse immaginare: potevano essere infatti in grado di bloccare i fendenti di spada nonché le frecce degli archi meno potenti che, se non perfettamente dritte, potevano essere imbrigliate dagli strati del gambesone. La consistenza rendeva queste protezioni ottime contro le armi da impatto.
Ovviamente non erano le migliori armature in circolazione: il tessuto, infatti, è relativamente efficace contro fendenti di taglio e punte cilindriche, ottime invece contro la cotta di maglia, ma può essere facilmente perforato da armi sufficientemente affilate, soprattutto in affondo, o da differenti punte di freccia.
Un guerriero sufficientemente ricco avrebbe potuto però optare per una cotta di maglia, un’armatura composta da piccoli anelli metallici intrecciati: si trattava di una delle migliori armature in circolazione prima dell’introduzione delle piastre, intorno a metà del 1200 (dunque molto oltre la fine dell’epoca vichinga).
Una cotta di maglia poteva resistere a spade, mazze e ai colpi più deboli di asce, lance e frecce, dando una protezione davvero ottimale: per superare le sue maglie, resistenti ma flessibili e in grado di permettere movimenti agevoli ai guerrieri, sarebbe stato necessario usare con forza asce e lance o archi molto potenti.
I più ricchi, inoltre, potevano indossare ulteriori armature prodotte da piccole lamine di metallo, le cosiddette corazze lamellari, a rinforzo delle altre armature.
Infine, un combattente faceva affidamento sullo scudo tondo, tipico dei popoli del nord europa, che aveva una impugnatura centrale coperta da una borchia di metallo.
Questa particolare struttura rendeva questa protezione estremamente versatile: si poteva colpire il nemico con il bordo dello scudo o la borchia e si poteva far ruotare lo scudo verso destra o sinistra per attaccare da direzioni diverse.
Per quanto riguarda poi le armi, i Norreni non mostravano un equipaggiamento particolarmente diverso da quello di altri popoli contemporanei.
Lo scudo veniva accompagnato dalla lancia, da sempre padrona dei campi di battaglia e spesso dimenticata dai media, e ogni guerriero portava con se un’altra arma alla vita come un coltello, un’ascia o una spada.
Le spade dell’era vichinga, nello specifico, sono un’evoluzione della Spatha romana, arma più lunga del gladio e sviluppatasi verso la fine dell’impero, quando le finanze scarseggiavano e i grossi Scutum e le Loriche Segmentate erano state sostituite da scudi ovali più piccoli e Loriche Hamate, sostanzialmente cotte di maglia. Si tratta comunque di spade piuttosto corte per gli standard dei secoli successivi, prive di guardia a croce e con una impugnatura che consentiva l’uso di una mano, ma non di due.
I vichinghi combattevano comunque anche senza scudo, usando armi a due mani: oltre agli archi, avevano delle specie di alabarde chiamate Atgeir e, ovviamente, delle grosse asce a due mani.
La famosa Ascia Danese è un’arma dall’asta molto lunga, cosa che permette di tenere a distanza il nemico e infliggere devastanti colpi.
La lama dell’ascia danese, inoltre, è grande e dall’affilatura rinforzata: questo tipo di lama molto larga è, in realtà, inadatto contro le armature, e questo fa pensare che si trattasse di un’arma con un’uso specifico, per esempio contro le formazioni di scudi.
E, a tale riguardo…
Tattiche di guerra
Un classico errore dei media è quello di mostrare ogni battaglia come un’enorme mischia, tanto più se si tratta della tattica di battaglia dei “barbari del nord”.
Questo, ovviamente, non è vero: i vichinghi erano abili nella tattica (cioè l’organizzazione bellica a breve e medio termine) quanto nella strategia (a lungo termine).
In battaglia, i vichinghi avevano alcune formazioni storiche come il Muro di Scudi, in grado di proteggerli dalle frecce nemiche: si tratta di una versione più agevole (ma anche leggermente più debole) della testuggine romana.
Per quanto invece riguarda le formazioni offensive, i vichinghi avevano inventato lo Svinfylking o “Testa di cinghiale”, che prendeva il nome dagli omonimi guerrieri dalla testa di cinghiale sacri agli Dei (di cui parleremo a breve).
Si trattava, sostanzialmente, di una variazione sul tema della formazione a cuneo, in grado di impattare con forza sui ranghi nemici, ma dalle ridotte capacità difensive.
Tuttavia, queste tattiche di battaglia non sarebbero state sufficienti a rendere così pericolosi i vichinghi: essi infatti, lungi dall’essere barbarici predatori, erano estremamente ben organizzati.
Ad esempio, nell’850, un’armata vichinga di oltre 100 navi vichinghe risalì la Senna e saccheggiò Parigi (all’epoca parte dell’impero carolingio). Le armate Franche furono sconfitte solo perché divise nel cercare di difendere più fronti, e il re dei franchi Carlo il Calvo fu in grado di riottenere il controllo della zona solo pagando un forte riscatto: fu coniato un vero proprio termine, Danegeld, per i tributi pagati al fine di non venire razziati dai vichinghi.
Furono proprio le navi vichinghe, i Drakkar (chiamate così a causa della testa di drago spesso presente a prua) a definire l’incredibile successo dei Norreni come navigatori, saccheggiatori e anche mercanti. Queste piccole navi, infatti, avevano una chiglia piatta in grado di permettere la navigazione sia in mare che lungo i fiumi.
In questo modo molti dei raid vichinghi poterono avvenire nell’entroterra, risalendo i fiumi del continente e scendendo dalle navi solo per effettuare le incursioni.
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Benedetti dagli Dei
Un altro enorme punto di forza dei Norreni è che la loro religione premiava la morte in battaglia: coloro che morivano da eroi erano accolti nel Valhalla, la sala di Odino nel mondo di Asgard, mentre gli altri finivano nel regno dei morti, Hel, governato dall’omonima dea (che tra l’altro ha la stessa radice della moderna parola inglese “Hell”, l’inferno).
La Mitologia Norrena prevede molti dei divisi in due categorie.
Gli Aesir sono gli dei maggiormente legati alla guerra: tra di essi spiccano Odino, il padre degli dei, e Thor, dio dei fulmini e della guerra, ampiamente ridipinti in chiave fantascientifica dall’universo Marvel.
Ma troviamo anche Baldr, apparso in God of War e Assassin’s Creed, che, secondo le tradizioni norrene, sarebbe immune a tutto tranne che al vischio e, dopo essere stato ucciso da una freccia di tale materiale, dovrebbe risorgere dopo il Ragnarok, la fine degli dei: questo ha portato a identificare spesso Baldr con Cristo nel processo di cristianizzazione della Scandinavia.
I Vanir invece sono invece divinità della natura dal temperamento gentile: tra di esse spicca Freya, anch’essa presente nel gioco di Santa Monica Studio, dipinta (erroneamente) come moglie di Odino e madre di Baldr.
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I Norreni credevano che l’universo si appoggiasse sui rami dell’Albero di Yggdrasil, sul quale erano presenti nove mondi: tra di essi ricordiamo Midgard, il regno degli uomini (che da anche nome a una città di Final Fantasy), Asgard, la patria degli dei, Hel, il regno dei morti, ma anche altri più sconosciuti e dai nomi impronunciabili come Jotunheim, il regno dei giganti di gelo, Alfheim, regno degli elfi, e Svartalfaneim, la terra degli elfi scuri (o dei nani, figure spesso confuse nelle saghe vichinghe), detta anche Nivadellir (più facile come nome, eh?).
I vichinghi credevano però che l’influenza degli dei li accompagnasse in battaglia: tra di essi, ad esempio, vi era chi vestiva il ruolo del Berserker, che vuol dire letteralmente “che indossa una pelle (skir, che darà poi luogo agli inglesi Skin, pelle, e Shirt, camicia) di Orso (Bear)”.
Si trattava di guerrieri che, oltre a indossare la suddetta pelle di orso, entravano in uno stato di trance furiosa, combattendo senza tregua e senza sentire dolore: probabilmente questo effetto era derivato dall’assunzione di sostanze psicoattive.
Esso in ogni caso ha generato la leggenda di mitici uomini-orso alla quale sono ispirati i Berserker di Witcher III e i barbari di Dungeons & Dragons, nonché il quasi omonimo manga.
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La fine di un’era…?
Ma cosa portò alla fine dell’era dei Vichinghi?
Essi sostanzialmente si sconfissero da soli.
Ma andiamo con ordine.
Nel 911 DC, il re dei franchi Carlo il Semplice concesse a un gruppo di predoni norvegesi, comandati da Hrolf (in italiano Rollone) una terra del nord della francia che sarebbe stata da allora chiamata Normandia (da Normanni, “North Men”, Uomini del Nord).
Rollone, futuro duca di Normandia, avrebbe in cambio dovuto difendere quelle terre dagli altri vichinghi e abbracciare il cristianesimo.
Nascono così, di fatto, i Normanni, una sorta di “vichinghi cristianizzati” che avrebbero fatto davvero la differenza nel corso della storia.
Essi infatti avevano una legge per cui tutti i possedimenti restavano al primogenito: questo costringeva i figli minori a cercare la fortuna in battaglia e portò molti giovani nobili a divenire prima mercenari e poi signori di terre anche lontane.
I Normanni svilupparono una possente cavalleria da guerra e trasformarono lo scudo tondo nello scudo a mandorla (Kite Shield), più adatto al combattimento in arcione.
Le loro imprese li portarono fino in Sicilia, dove parteciparono come mercenari nella guerra tra i bizantini e gli arabi per il controllo dell’isola e, infine, ne divennero signori essi stessi fondando la dinastia degli Altavilla. Molti di essi parteciparono perfino alle crociate.
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Ma per comprendere la fine dell’epoca vichinga, dobbiamo guardare all’Inghilterra: qui, a seguito delle invasioni vichinghe e della guerra e successiva pace tra Alfredo il Grande di Wessex e il vichingo Guthrum, la parte settentrionale dell’inghilterra divenne dominio Norreno sotto il nome di Danelaw. Guthtum comunque accettò il battesimo come parte della resa (perchè, si, aveva perso): è proprio durante questa guerra che è ambientato l’ultimo Assassin’s Creed.
Nei secoli successivi gli stati meridionali dell’inghilterra riconquistarono via via i territori Norreni, ma la pace durò poco: Cnut il Grande, già re di Norvegia e Danimarca, riconquistò anche l’inghilterra, andando a fondare un vero e proprio impero del mare del Nord.
Lui e le sue terre erano però ormai già, almeno in parte, cristianizzate e il mondo era diverso: nel corso dei secoli, soprattutto grazie ai prigionieri schiavizzati e portati dall’europa continentale in scandinavia (si, i vichinghi facevano prigionieri e avevano schiavi), il cristianesimo si era fatto largo.
Via via, i clan della scandinavia si erano unificati in veri e propri regni e, per ragioni principalmente diplomatiche nei confronti degli stati meridionali, essi avevano gradualmente accettato il cristianesimo come religione ufficiale.
Alla caduta del regno di Cnut, a causa di guerre interne e complesse questioni dinastiche, l’Inghilterra tornò nelle mani degli Anglo-Sassoni: l’ultimo re, Aroldo II di inghilterra, fu in grado di proteggere l’isola dall’invasione da parte di Harald III di Norvegia.
L’inghilterra si era dimostrata capace di sconfiggere i raid vichinghi, e ormai le terre scandinave erano sotto il governo di re cristiani e/o impegnate in guerre interne: ma lo scacco matto venne da parte dei Normanni (quelli di francia stavolta) che, guidati da Gugliemo il Conquistatore, approfittarono della debolezza britannica dovuta alla recente guerra per prendere possesso dell’inghilterra nella Battaglia di Hastings, quella raffigurata nel famoso Arazzo di Bayeux.
Sotto il dominio saldo Normanno, anche l’inghilterra era sicura e l’era vichinga volgeva infine al suo termine.
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Per poter però apprezzare completamente l’eredità norrena dobbiamo però guardare anche oltre la Britannia: ad esempio, in europa orientale, seguendo vari fiumi come il Dnepr, le loro incursioni e commerci arrivarono fino al mar nero grazie a quella che che viene chiamata la via Variago-Greca.
Gli imperatori bizantini rimasero colpiti da questi guerrieri e ne vollero alcuni per formare una propria guardia personale, la famosa Guardia Variaga.
Lungo questi fiumi sorsero numerosi accampamenti, i Rus, comandati proprio da principi di origine norrena ma di popolazione mista con le autoctone tribù slave: sarà proprio l’unione politica di questi principati, effettuata da Rjurik sotto il ‘Rus di Kiev, a fare da base all’attuale cultura della Russia occidentale, Bielorussia, Ucraina e Repubbliche baltiche.
Per questo articolo ringrazio Simona Nebbiai, amica, traduttrice e appassionata di filologia germanica, per il supporto etimologico.
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